Le divinità principali della città di Napoli dalla sua origine sino all'età imperiale più tarda, secondo il poeta Stazio, che le definisce patrie, erano Apollo, Demetra e Dioscuri, ai quali era dedicato il grande tempio sito nel Foro,
lungo il decumano massimo. L'edificio venne ristrutturato durante il regno di Tiberio (Roma, 16 novembre 42 a.C. – Miseno, 16 marzo 37), come dimostra l'iscrizione incisa sull'architrave:"Tiberio Giulio Tarso dedicò il tempio e ciò che è nel tempio ai Dioscuri e alla Polis. Pelagonte, liberto e procuratore dell'imperatore, avendo completato a sue spese, consacrò". Il suo aspetto doveva essere caratterizzato da un alto podio, su cui poggiava il tempio vero e proprio con alte colonne di marmo bianco di stile corinzio. Anche se non si conosce con esattezza il suo aspetto nei minimi dettagli è molto probabile che il frontone fosse caratterizzato da un motivo a rilievo. Pare invece molto probabile che i due torsi di Dioscuri, un tempo collocati in nicchie sotto le statue dei Santi Pietro e Paolo e oggi conservati al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, fossero le statue di culto all'interno della cella. Successivamente il tempio venne trasformato in una chiesa, a cavallo dei secoli VIII e IX. Purtroppo dopo il riutilizzo cristiano, a causa degli eventi sismici, molte zone della chiesa vennero distrutte, pertanto venne riveduta dall’architetto Francesco Grimaldi tra la fine del Cinquecento e i primi del Seicento dopo essere passata alla gestione dei chierici regolari teatini che vi costruirono, estendendolo nel tempo, l’annesso convento. Nel 1671 l’architetto Dionisio Lazzari fece erigere una volta di collegamento che con ogni probabilità appesantì l’antica struttura del tempio dei Dioscuri e favorì il crollo del pronano in occasione del forte terremoto del 1688. Una veduta ricorrente dell’antica facciata della basilica di San Paolo precedente alla distruzione, comprendente il frontone del tempio, le colonne con capitelli corinzi e la scala monumentale posta dinanzi, ricorre tanto nell’Historia della città e regno di Napoli di Giovanni Antonio Summonte del 1675, quanto nella guida di Sarnelli del 1685, ed infine è riproposta ancora nella guida di Parrino del 1725.
Nel Settecento i lavori di abbellimento proseguirono, soprattutto a opera di Domenico Antonio Vaccaro e Francesco Solimena, che riutilizzarono i marmi antichi crollati col terremoto, rilavorandoli e mettendoli in opera all’interno, per rivestire il pavimento e le paraste della navata centrale. Ulteriori lavori vennero intrapresi da Giuseppe Astarita verso gli anni settanta del Settecento, in occasione della proclamazione a beato di Paolo Burali d’Arezzo. Nel 1943, a causa dei bombardamenti dovuti alla seconda guerra mondiale, la chiesa venne gravemente danneggiata, con la quasi totale perdita degli affreschi di Stanzione.
La pianta è a croce latina, a tre navate: la navata centrale e il transetto hanno una copertura ribassata a padiglione, mentre le navate minori sono voltate con una successione di cupolette ellittiche.